Gino De Dominicis
SECONDA SOLUZIONE D’IMMORTALITÀ
(L’UNIVERSO È IMMOBILE)

36° Biennale di Venezia

l'opera è composta da: Paolo Rosa (soluzione d’immortalità)
e altre tre opere:
- Palla di gomma (caduta da due metri) nell’attimo immediatamente precedente il rimbalzo,
- Pietra (aspettativa di un casuale movimento molecolare generale in una sola direzione tale da generare un movimento spontaneo del materiale),
- Cubo invisibile
ai due lati opposti della sala, due seggiolini posti molto in alto, due figure per "Il Giovane e Il Vecchio":
Simone Carella il Giovane 
un abitante di Venezia il Vecchio

Biennale di Venezia, 8 giugno 1972

[…] «Simone Carella, a Venezia come assistente di Gino De Dominicis, racconta: “Gino considerava la sala una summa, ma non aritmetica, delle cose che aveva fatto sino ad allora. Una delle ragioni per cui la sala fu scelta è che si apriva sul giardino, dunque ci si poteva arrivare senza passare attraverso le altre sale. Sul tetto c’erano lucernai che erano stati oscurati, la prima cosa che Gino fa è chiedere di togliere l’oscuramento ai lucernai per avere la luce del giorno. La luce naturale, la porta che si apre sull’esterno: l’opera doveva essere a contatto con l’universo. Poi mi chiede di cercare una persona che deve rappresentare questa Seconda Soluzione d’Immortalità, un giovane che abbia conservato l’aria di un bambino. […] Al di là della sottile distinzione tra immortalità ed eternità, quello che interessa l’artista è la fissità del momento del presente, la percezione dell’attimo […] Non avendo ricordi, memoria, né percezione del futuro è, ovviamente per paradosso, immortale”». [...]

 Laura Cherubini, "Oggetto vivente perfetto", Flash Art, 24 maggio 2017


[...] «La collaborazione con Gino de Dominicis si intensifica quando cominci a collaborare con L’Attico?
Sì. Dalla Mozzarella in carrozza fino ad arrivare alla Biennale di Venezia del 1972.

Paolo Rosa, il giovane veneziano affetto dalla sindrome di down protagonista dell’opera Seconda Soluzione di Immortalità (l’universo è immobile) lo trovasti tu?
Esatto. Sono stato anche processato insieme a Gino per sequestro di invalidi con l’aggravante della premeditazione. Quando andammo al processo, l’avvocato Fabrizio Lemme mi disse che rischiavo 12 anni. Dagli atti processuali Gino risultava l’ideatore e mandante, ma io l’esecutore materiale del sequestro! Alla fine fummo assolti.

Quanto durò il processo?
Non ricordo. Tra l’istruttoria e tutto, saremmo andati a Venezia almeno un paio di volte. Io mi divertivo perché con Gino andavamo in grandi alberghi, al casinò. Facevamo la bella vita. Tutto nacque perché un giorno, passeggiando a via Ripetta, Gino mi fece “Perché non vieni a darmi una mano a fare la sala alla Biennale?” e io gli risposi subito “Quando partiamo?”. La preparazione della sala fu un’esperienza straordinaria, come quella di cercare Paolo Rosa.

Ma lo trovasti a Roma?
No, lì a Venezia. Gino appena arrivò nello spazio della Biennale fece togliere tutto il nero dal lucernario per avere la luce naturale. Poi mi chiese di cercare una persona un po’ “ritardata”, un po’ “così”. Io così sono andato in giro e in mezz’ora lo trovai. Andai a via Garibaldi vicino ai Giardini cercandolo con la scusa che dovevamo girare un film.

Quindi Gino l’opera l’aveva già pensata prima di venire a Venezia?
Sì, quella era la Seconda Soluzione di Immortalità.

Come avvenne l’incontro con Paolo Rosa?
Mi dissero che c’era questo ragazzo un “po’ così”. Andai a casa dei genitori. C’erano la mamma e il papà, che faceva il gondoliere. Dissi che lavoravo per la Biennale e cercavo un comparsa per uno spettacolo artistico. Gli chiesi se poteva venire loro figlio, spiegandoli che doveva semplicemente stare seduto su una sedia. Naturalmente gli offrivamo un compenso. Questo è quello che ci ha salvato. Non l’abbiamo fatto con l’inganno. Ovviamente mica potevo dire a una casalinga che era la Seconda Soluzione di Immortalità!
Loro accettarono.

Gino DeDominicis-36Biennale Venezia_1972-@Giorgio Colombo

Alla fine per quanto rimase aperta la sala?
Solo la mattina dell’inaugurazione. Giusto il tempo che arrivò il corteo ufficiale. Nella settimana di preparazione Gino aveva già sconvolto tutto il sistema della Biennale. Non si parlava altro che di lui. Ci siamo divertiti da matti. Per esempio alla Biennale quando cercavano qualcuno, veniva annunciato il nome all’altoparlante. Non esistevano i telefonini, quindi c’era un centralino. Gino mi disse: “Sai che fai? Vai dal centralinista, offrigli 10.000 lire e chiedi di fare un annuncio tipo 'l’artista Gino de Dominicis è desiderato al telefono' o 'chiamata intercontinentale per l’artista Gino de Dominicis' o 'chiamata dal direttore del museo tal dei tali per Gino de Dominicis'". Convinsi il centralinista che si trattasse di un’azione artistica.

Questo prima dell’inaugurazione?
Sì. Siamo stati una settimana a preparare la sala. In giro c’erano già molti artisti che allestivano. Quindi, quando si sentiva questa voce dall’altoparlante, tutti rimanevano stupiti.

Il telefonista ci aveva preso gusto e lo faceva ogni 5 minuti. Era tutto un divertimento. Gino passava davanti alla sala dove erano esposti i Piedi di Luciano Fabro e faceva “Senti che puzza di piedi!”. Passavamo le notti a ubriacarci con Mario Merz. Gino si scolava ettolitri di vodka ma non dava mai in escandescenze.

Nella sala della Biennale c’eri anche tu…
Sì. Facevo il giovane in "Il Giovane e il Vecchio".

Il Vecchio chi era?
Uno di Venezia trovato lì.

Poi c’era la coppia che ballava con la musica nelle cuffie…
Sì. Erano le stesse ragazze che facevano le Vergini in Lo Zodiaco. I ragazzi che impersonavano i Gemelli sempre in Lo Zodiaco facevano invece una conferenza. La sala era molto complessa perché era una sorta di antologica.

Cosa successe con Arturo Schwarz?
Schwarz lo conoscevo perché era il suocero di Marco del Re, che faceva parte della compagnia Patagruppo. Mentre ero seduto in alto, Schwarz mi fece “Simone, non fare il buffone! Scendi subito!”. Ed io “Fatti gli affari tuoi. Vai via!”. Tutto nasceva dall’invidia dei milanesi per essere stati surclassati dai romani. I milanesi erano ancora aggrappati all’astrattismo. Ad eccezione di Manzoni, Fontana, Castellani, Bonalumi, avevano perso quella centralità che era passata totalmente a Roma. Si sono sentiti tutti spiazzati dal gesto di Gino. Hanno perfino detto che era una cosa irriverente perché il figlio di Giovanni Leone, il presidente della Repubblica, era spastico.

Non ho mai capito cosa è successo nei giorni successivi. È rimasto qualcosa nella sala?
Gino decise di lasciarla vuota. All’inizio ci doveva essere un video fatto da Gerry Schum con solo un primo piano strettissimo di Gino. E forse sotto ci doveva essere l’opera audio della risata. Era una sorta di piano B.

Però non si fece niente?
Dopo aver fatto una sala così, che devi fare?

La videro in molti?
Sì, gli artisti e tutto il corteo di invitati all’inaugurazione.

Quali furono le reazioni degli altri artisti? Merz, Fabro… erano tutti dalla parte di Gino?
Certo. Però i giornali, soprattutto i settimanali, avevano cominciato a prendersela contro Gino che era terrorizzato dall’idea che coinvolgessero la sua famiglia. Ha cercato di mettere tutto a tacere». [...]

Luca Lo Pinto, "Romanzo di un giovane povero - Una conversazione con Simone Carella"Doppiozero, 2014

Flash Art - L.Cherubini
Doppiozero - N.Martino